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Sono passati quattordici anni dalla prima collezione che lo ha reso celebre con un'immediatezza insolita. Non un minuto perso, non un'esperienza sprecata. Il ragazzino apprendista di Savile Row è diventato un uomo dal corpo compatto, possente, ma non imponente, dal volto forte, dallo sguardo determinato, dai modi introversi. Non ancora quarantenne, ha saputo navigare nel movimentato mare della moda e della mondanità senza lasciarsi mai travolgere. Le sue sfilate sono sempre spettacolari «perché la moda ha il dovere di colpire con i suoi contenuti - dice - costruire scenari per il lusso, offrire al pubblico anche l'utopia. La mia idea di moda è tradurre in forme e ambientazioni quello che sento. La semplice passerella può andar bene solo per le pre-collezioni. Il momento della sfilata ufficiale deve essere graffiante, per non essere dimenticato». È talmente convinto di ciò che, alla domanda su che cosa sarebbe la moda senza show, risponde semplicemente: «Una banalità». Ha uno spirito indipendente e grande determinazione: «Nessuno può fagocitare il mio pensiero o farmi obbedire al proprio. Preferisco sbagliare. Non ho mai agito dentro margini sicuri. Non si diventa autentici cedendo». Sostiene che avanguardia sia solo una parola. L'avanguardia potrebbe corrispondere piuttosto al termine sfida: «Voler comprendere, per esempio, cosa e per chi è il lusso, e se si possa esprimere in altre maniere». Alexander McQueen persegue un principio: «Bisogna conoscere la tradizione dal di dentro per poterla poi modificare».
Pluripremiato, ha vinto il British Designer Award nel 1996, 1997, 2001, 2003, l'International Designer of the Year (Council of Fashion Designer's of America-Cfda) nel 2003, l'Excellent Commander of the British Empire, consegnatogli dalla Regina nel 2003, e il Fashion Director's Award nel 2007. Il suo lusso personale è una casa in campagna, vicino ad Hastings, con tanti olmi e tre cani. In lontananza, quando la nebbia si dirada, vede la costa francese. Lo innervosiscono i giornalisti e la folla «anche perché sono riservato e non mi piace parlare per parlare. Ho pochi amici cari. Sono le persone con cui sono cresciuto, i miei fratelli, le sorelle». Usa un tono sarcastico e termini informali, mantenendo un sano distacco dalla retorica di chi appartiene al mondo della moda: «Sono come Elisabetta I, lei sposò la Gran Bretagna, io il mio business. Mi guidano l'amore per la ricerca nel progettare vestiti liberatori, l'idea di aiutare giovani designer a non sottovalutare il loro talento, di dare sicurezza a chi lavora con me. Preferisco vedere la felicità sui volti di chi se la merita che non provarla io stesso. Per i miei dipendenti vorrei un'azienda feconda. Per me, poter continuare a fare ciò che faccio». Ribelle ma involontariamente poetico: «Vorrei vedere il pianeta Terra approdare su una stazione spaziale - conclude - perché penso che non siamo grandi quanto crediamo».
Tratto da Ventiquattro Magazine di aprile 2008
Le immagini realizzate per «Ventiquattro» a Londra il 6 marzo 2008